Tristezza, incredulità ed una profonda sensazione di impotenza. La scomparsa di Justin Wilson ha riportato il mondo delle corse sotto la nuvola della sofferenza.
"Motorsport is dangerous" è l'espressione che chiunque si avvicini a questo ambiente impara a conoscere fin dai primi momenti, ma quel che è successo domenica a Pocono rientra nella sfera dell'assurdità: Justin non ha commesso errori, non è decollato su un'altra vettura, né tantomeno è stato vittima di cedimenti meccanici, per uno strano gioco del destino si è trovato a passare nel punto sbagliato nel momento sbagliato, urtando con il casco il musetto della vettura di Sage Karam, finito a muro pochi secondi prima.
La dinamica ha ricordato quella dell'incidente di Felipe Massa a Budapest nel 2009, quando l'allora ferrarista venne colpito da una molla del peso di 8 etti, persa dalla BrawnGp di Rubens Barrichello, con la sostanziale differenza delle dimensioni e delle velocità in gioco. Pochi mesi dopo, Henry Surtees, giovane figlio del grande John, fu invece centrato da un pneumatico vagante nel corso di una gara di F.2 a Brands Hatch perdendo la vita quasi sul colpo.
Wilson era stato trasportato in gravissime condizioni all'ospedale di Allentown, il Lehigh Valley Health Network e, nonostante la comprensibile discrezione degli organizzatori dell'Indycar, il volto di Micheal Andretti, Team Owner della sua vettura, ripreso a fine gara ed intervistato in relazione al successo dell'altro suo pilota, Ryan Hunter-Reay, aveva descritto la situazione meglio di qualsiasi parola.
Il pilota britannico, con un passato in F1 tra le file di Minardi e Jaguar, ha corso negli ultimi anni negli Stati Uniti, cogliendo un totale di otto pole position e sette successi, il più recente di questi nel 2012 al Texas Motor Speedway. Lascia la moglie Julia, le figlie Jane Louise e Jessica Lynne, e il fratello Stefan, anch'egli pilota.
Come spesso è accaduto, al cordoglio di amici, colleghi e tifosi, si è aggiunto il moto d'istinto di organizzatori e federazioni che hanno subito rilanciato l'idea di dotare le monoposto di una struttura di sicurezza che possa evitare il ripetersi di simili tragedie. Nel corso degli ultimi anni sono state studiate diverse soluzioni che hanno previsto l'adozione di una copertura in plexiglass simile a quella impiegata sui caccia, oppure di una struttura a boomerang ancorata al rollbar e collegata all'abitacolo tramite un sostegno verticale, come proposto dalla Mercedes. La speranza è che non si tratti dell'ennesimo episodio in cui si è sentito il bisogno di pulirsi la coscienza, in un momento di particolare sensibilità dell'opinione pubblica, per poi lasciar cadere tutto nel dimenticatoio. Sarebbe un atto dovuto alla memoria di Justin e di tutti quei piloti che nel corso degli anni hanno perso la vita per l'intrinseca vulnerabilità delle monoposto.
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