Le leggende da corsa del passato

Se siete dei nostalgici e avete voglia di parlare delle grandi gare del passato, allora questo è il forum giusto!
luca lazzarato
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Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 03/01/2014 - 21:12

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Ferrari 166 Inter Corsa , un gioiello rampante del 1949

Deriva dai bolidi da corsa che portano il suo stesso codice numerico, ma è la prima vettura veramente stradale a fregiarsi del “cavallino rampante”. Viene presentata al Salone di Torino del 1948 ed è la capostipite di una famiglia che caratterizzerà i primi anni di vita dell’azienda fondata da Enzo Ferrari.

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Eclettica e versatile, può essere adattata con precisione chirurgica ai gusti dei clienti, che la vogliono in varie impostazioni di carrozzeria (coupè, berlinetta e spider), con abitacolo a 2 o a 2+2 posti e con linee esterne disegnate da alcuni dei più celebrati maestri della scuola italiana.

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Le interpretazioni più note sono quelle della milanese Touring, dense di morbidi e raffinati volumi che rivestono con equilibrio formale la grintosa meccanica. Alcuni coupè dispongono del tetto trasparente “Aerlux”, che rende più luminosa la vita a bordo. Tutti gli esemplari hanno una grande griglia anteriore, marchio di fabbrica delle “rosse” dei primi anni. Sono delle vetture comode e benevole, in grado di affrontare al meglio l’impiego quotidiano. Vantano finiture ricercate e non pagano lo scotto di una meccanica estrema.

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Il lussuoso abitacolo accoglie al meglio i fortunati passeggeri. Anche il bagagliaio è abbastanza capiente (…a patto di lasciare a casa la ruota di scorta!). Dagli stabilimenti Farina usciranno dei pregevoli cabriolet, frutto delle doti creative del carrozziere piemontese. Tra i punti di forza dell’auto spicca la grande agilità, dovuta al passo corto. L’interasse crescerà nel 1950, insieme alla tenuta di strada, per meglio assecondare le superiori performance ottenute dal modello aggiornato. Il dazio da pagare è un peso maggiore, che compromette la maneggevolezza iniziale.

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La scuderia del piccolo 12 cilindri conta su 115 scalpitanti cavalli, a 6000 giri al minuto. E’ un vivace due litri, di grande robustezza, che non soffre le sollecitazioni prodotte dall’indole sportiva. Disegnato da Gioacchino Colombo, discende dal primo motore targato Ferrari: quello da un litro e mezzo che equipaggiava la 125 S. La carrozzeria, interamente in alluminio, consente di contenere il peso entro gli 800 kg ma, in pochi mesi, il valore crescerà di un quintale.

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Il telaio in tubi di acciaio della nuova versione, più sviluppato in senso longitudinale, è strettamente imparentato con quello della barchetta degli esordi. I freni a tamburo garantiscono una discreta costanza alle decelerazioni della vettura, che non si priva di felici digressioni agonistiche. Le 166 Inter Coupè, pur votate ad un impiego stradale, faranno incetta di premi alla Coppa InterEuropa del 1949. La produzione del modello, nelle sue numerose varianti, si protrae dal 1948 al 1950, dando vita a 36 esemplari. L’auto è apprezzata dai clienti del marchio, spinti al suo acquisto dalle trionfali uscite delle sorelle da competizione. Queste ultime, denominate 166 Corsa, si caratterizzano per le numerose varianti, che le rendono uniche e diverse l’una dall’altra.
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 07/01/2014 - 17:52

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Ferrari 125 S

La storia

La 125 S o 125 Sport fu la prima autovettura da competizione costruita, in soli due esemplari, dalla neonata Ferrari. Fu collaudata e guidata da Franco Cortese, primo pilota Ferrari, in ordine cronologico. Si tratta di una barchetta a ruote coperte, dalla cui meccanica venne ricavata, l'anno successivo, la Ferrari 125 F1 destinata alle competizioni automobilistiche per le vetture a ruote scoperte.

Oltre ad essere la prima con il marchio Ferrari fu anche l'ultima vettura a scendere in pista con il vecchio colore "rosso corsa Alfa Romeo" che aveva sempre caratterizzato le macchine della Scuderia Ferrari. In seguito, la scuderia di Maranello adottò stabilmente per le sue vetture il "rosso corsa FIAT".

L'esordio della Ferrari 125 avvenne al circuito di Piacenza l'11 maggio 1947, l'unica vettura che partecipò alla gara, guidata da Franco Cortese, si ritirò per un'avaria alla pompa di alimentazione a tre giri dalla fine, mentre stava rimontando.

I due esemplari costruiti, con alla guida Nuvolari e Cortese, furono schierati in gara sul Circuito di Parma, il 13 luglio 1947. Vinse Nuvolari, seguito da Cortese a meno di 10", alla media di 93,733 km/h.


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In un pomeriggio all’inizio del mese di maggio 1946, alla periferia di Maranello, si levò un rumore di motore a scoppio che aveva cominciato a funzionare tossicchiando. Poi era aumentato di intensità e tono fino a livelli mai sentiti da quelle parti.

Tutti a Maranello sapevano che Ferrari stava costruendo una nuova automobile. Ma nessuno, tranne il Drake e i suoi collaboratori più stretti, sapeva che quello messo in moto era il propulsore della vettura che aveva per marca Ferrari e per emblema il Cavallino Rampante di Francesco Baracca, aviatore, eroe della prima guerra mondiale.
Questo piccolo episodio era l’inizio di un’avventura straordinaria che continua tutt’ora, le cui basi erano state gettate nel 1945, quando Ferrari aveva chiamato l’ingegner Giachino Colombo chiedendogli di progettare una vettura in grado di battere le Alfa Romeo. .

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Fu scelto un motore V12, che secondo Colombo quest’architettura era quella che avrebbe potuto fornire le migliori prestazioni. Siccome per Enzo Ferrari il cuore di una macchina è il motore e il cuore del motore è la testa cilindri, dove si produce la potenza, ecco che la testata del motore 125S fu la prima parte a essere disegnata.

I primi disegni del telaio recano la data del 5 giugno 1946, quello della sezione longitudinale del gruppo motore-cambio è del 10 luglio e la sezione trasversale è del 5 agosto 1946.
Il progetto del motore è interessante perché al 12 cilindri di soli 1500cc una unica testa cilindri che serve per entrambe le bancate: basta ruotarla, semplicemente di 180 gradi. Era già stata previsto un aumento di cilindrata: le canne cilindri in ghisa erano sfilabili.
L’albero motore fu ricavato per lavorazione dal massello di acciaio; blocco cilindri, teste, coppa dell’olio e i vari coperchi della distribuzione erano fusi in lega leggera a base di alluminio. I pistoni, anch’essi in alluminio, furono fusi in conchiglia e poi completamente lavorati.
L’accensione è a una candela per cilindro, la lubrificazione è a carter umido. La sigla indicativa del motore, 125, rappresentava la cilindrata id ogni singolo cilindro: moltiplicata per 12 dava, appunto, la cilindrata effettiva del motore, ovvero 1500cc.

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Intanto procedeva lo sviluppo della vettura, il motore al banco aveva già dato una potenza di 70 Cv. Nel frattempo era stato ordinato il telaio tubolare a una ditta di Milano, la Gilco: doveva essere rigido ma leggero.
Nel dicembre ’46, lo sviluppo della vettura era da considerarsi soddisfacente e venne così scelto il pilota. Il corridore Franco Cortese venne ingaggiato il 7 aprile ’47: il compenso era di 600.000 lire più il 50% dei premi.
La prima 125 era dotata di carrozzeria spider per il debutto dell’11 maggio a Piacenza. Venne chiamata 125 C, ossia Corsa, per distinguerla dalla S, ossia Sport.
I primi due esemplari della 125C corsero a Piacenza guidati da Franco Cortese e Nino Farina, quest’ultimo primi italiano a vincere il primo mondiale di F1 con l’Alfa Romeo. Arrivò ben presto il successo, Franco Cortese vinse quattro gare di fila.
Sulla 125 C salì Tazio Nuvolari che vinse il circuito di Parma. Il circuito di Modena, a metà 1947, chiude la stagione della 125S. Ormai la cilindrata della vettura era stata aumentata a 1903cc e il nome cambiato in 159.
Oggi l’originale 125 S non c’è più. Esiste solo una copia ricostruita a Maranello dai disegni originali: ogni tanto Piero Ferrari, figlio del Drake, la mette in moto con nostalgia.


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Caratteristiche tecniche

Motore Anteriore, longitudinale, 12 cilindri V (60°)
Alesaggio x Corsa 55 x 52,5 mm
Cilindrata unitaria 124,73 cm³
Cilindrata totale 1496,77 cc
Numero valvole 2 per cilindro
Monoalbero a camme in testa
Rapporto di compressione 7,5:1
Alimentazione 3 carburatori Weber 30DCF
Raffreddamento a liquido
Potenza massima 118 CV a 6800 giri/minuto
Potenza specifica 78,8 CV/litro
Trazione posteriore
Frizione monodisco a secco
Cambio in blocco col motore a 5 rapporti + RM
Telaio Longheroni e traverse
Sospensione anteriore Ruote indipendenti, quadrilateri deformabili, balestra trasversale, ammortizzatori idraulici
Sospensione posteriore Ponte rigido, balestre longitudinali, barra antirollio, ammortizzatori idraulici
Freni a tamburo
Serbatoio da 75 litri
Pneumatici anteriori 5,50-15 - posteriori 6,00-15
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 08/01/2014 - 22:18

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Questa è la storia di un ex allevatore di polli originario del Texas, fallito e cardiopatico, che impianta un motorone V8 aste e bilancieri americano su un vecchio telaio inglese da passeggio e poi con esso sbanca il mondo.

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Questa è la storia di Carroll Shelby e anche la leggenda dell’Ac Cobra.

Intendiamoci, la fregatura presa coi polli è vera, ma Shelby è pure un bel pilota. Onesto in F.1 e bravo assai con le Sport, tanto da trionfare a Le Mans. Ma a 36 anni ha il cuore in pezzi e capisce che deve limitarsi a organizzare a bordo pista metallo, uomini e sogni.

In questo è un genio. Si trasferisce così nel sud della California, presso Santa Fe Springs, e nell’autunno 1961 propone tramite posta aerea alla Casa inglese AC di Thames Ditton di impiantare sul telaio Ace – già ricettacolo dei Bristol 2 litri -, dei motori Ford V8, per vedere l’effetto che fa.

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Andiamo con ordine: AC sta per AutoCarriers. L’Ace è stata progettata nel 1952 da John Tojero e il prototipo della nuova e ibrida creatura, ircocervo austeramente britannico quanto cardiologicamente statunitense, ha ora un Ford V8 di 3621 cc. E la Casa madre Ford si presta di buon grado collaborando nello sviluppo e mettendo a disposizione la rete commerciale per la commercializzazione.

Adesso fermi un attimo, ché andiamo a letto con Shelby. La prima vettura Csx001, che sta per Carroll Shelby Experimental, giace innominata dentro la factory mentre lui dorme della grossa nel suo due piazze, quando in sogno gli appare un nome. Cobra. Carroll crede nella potenza del subconscio, tanto che tiene sul comodino un blocco per appunti, nel quale annota flash e intuizioni che gli arrivano nel sonno, così si desta e scrive il nome del serpente velenoso, poi si ributta giù e dorme ancora. La mattina Shelby si rizza in piedi, guarda il blocchetto, ci vede scritto Cobra e si precipita in officina gridando ai sottoposti: «Ora so come si chiamerà la nostra macchina».

È l’inizio della specie. Sul telaio Ac ben presto arriva un V8 di 4262 cc derivato da quello della Ford Farlane, seguito dalla “standard version” di 4727 cc per la mitica Mark 2, meglio nota come 289.

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Intanto l’Ac Cobra debutta in gara, nell’ottobre 1962 a Riverside, con Billy Krause che si ritira quando ha sverniciato la migliore delle Corvette. D’altra parte, pesando 227 chili meno di una Chevy, la Cobra è subito nella storia come “Mangia Corvette”.

Il 2 febbario 1963, sempre a Riverside, Dave McDonald ottiene il primo storico trionfo di livello nazionale, surclassando Chevy, Jaguar, Porsche e Maserati. La 289 sviluppata da Ken Miles, Bob Bondurant e Bob Holbert diviene regina “Stars & Stripes”, con la potenziata 427 già in cantiere.

Il primo target è centrato, ora tocca al secondo: sbarcare in Europa e sfidare la Ferrari. E il 1964 vede le Cobra perdere il primo round nella guerra con la Ferrari 250 Gto.

A fine anno nel Campionato Internazionale Gran Turismo – il vero Mondiale marche, che dal 1962 premia vetture omologate stradali che possono girare per le strade di tutti i giorni e allo stesso tempo correre nella serie che prevede classiche endurance, gare sprint, gare a tappe stradali come il Tour de France e perfino cronoscalate -, la Cobra è seconda dietro la Ferrari, con 78,3 contro 84,6 punti della Rossa.

Per il 1965 le cose cambiano. La Ferrari non riesce a omologare la 250 Lm, mentre la Ac Cobra, dopo un anno di sperimentazioni, sublima l’arma definitiva: la Daytona Coupé, della quale esiste anche una versione sviluppata dall’equipe britannica di John Willment.

Morale della favola, con la Cobra Daytona Coupé, Schlesser-Keck vincono Daytona in Gt, il pilota francese si ripete a Sebring in coppia con Bondurant, mentre sir John Whitmore sbanca a Oulton Park. Bondurant è quindi 2° a Spa e vince al Nurburgring con Neerpasch, facendo sua la categoria pure nella salita tedesca di Rossfeld, mentre a Le Mans Sears e Thompson sono secondi di classe. La vittoria di Bondurant e Schlesser a Reims è la ciliegina sulla torta: con 90,3 punti la Cobra si aggiudica il titolo. Il sogno iridato diventa realtà.

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In Europa le chiamano Cobra, oltre Atlantico la dizione giusta è Ac Shelby American Cobra Ford, mentre la Fédération Internationale de l’Automobile nella fiche d’omologazione le chiama Shelby American Cobra. Fatto sta che la crescita d’importanza del programma Ford nell’endurance, con le Gt40 nell’era matura, vede Shelby coinvolto in una nuova entusiasmante sfida, all’inizio della seconda metà degli Anni ’60.

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Cobra torna a essere il nome d’un sogno, per la macchina stradale da corsa più replicata di tutti i tempi. Oggetto del desiderio di tutti coloro che ancora oggi la vivono come immortale e affascinante realtà.

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AC Cobra 427 MkIII

Produzione: 1965-1967

Motore: anteriore, 8 cilindri a V

Cilindrata: 6997 cc

Alesaggio e corsa: 107,5 x 96 mm

Potenza max: 390 CV a 4600 giri/m

Trasmissione: trazione posteriore con cambio a 4 rapporti

Corpo vettura: sospensioni anteriori; posteriori indipendenti con trapezi molle elicoidali e ammortizzatori

Freni: a disco

Dimensioni/peso: passo 229 cm, carreggiata ant. 140 cm, post. 137 cm, peso 950 Kg

nel 1965 la vettura salì sul tetto del mondo Gt .La Coupé vinse il titolo

La storia dei vari modelli e dei telai Ac Cobra è molto complessa
Ecco le principali evoluzioni che conobbero un impiego agonistico

I primi telai Ac dotati di motore Ford 2,6 litri furono siglati Rs, che sta per Ruddspeed by Ken Russ. I veri e propri telai Cobra, con guida a sinistra, furono numerati preceduti dalla sigla Csx2, mentre l’identificazione del modello Mark III parte da Csx3000. I primi 75 esemplari (compreso il prototipi) della Cobra Mark 1 furono dotati del motore Ford da 4,3 litri, mentre i restanti 51 modelli si caratterizzarono per una versione più potente del propulsore Ford Windsor, da 4,76 litri: nella misurazione americana della cilindrata, 289 cu (ossia cubic inches), da qui il nome che contraddistingue la vettura.

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Nella seconda parte del 1962, Alan Turner, ingegnere capo della Ac, realizzò importanti modifiche concentrate sull’anteriore dell’auto, dotandola di sterzo a pignone e cremagliera, pur usando ancora le sospensioni a balestra trasversale. La vettura entrò in produzione nella prima parte del 1963 e fu designata come Cobra Mark 2. Lo sterzo fu preso dalla Mgb, mentre la colonna era quella del Volkswagen Maggiolino. Si calcola che siano state 528 le Mark 2 prodotte fino all’estate del 1965, anche se di fatto, dall’inizio del 1965, la produzione si concentra sulla evo Mark 3, esattamente dal 1° gennaio, anche se due prototipi erano stati spediti negli Stati Uniti nell’ottobre del 1964 e poi completati nella factory di Carroll Shelby. Le Cobra Mark 3, dotate del motore Ford da 7,01 litri di cilindrata, nella misurazione americana della cilindrata, 427 cu, mentre 428 è anche la sigla della vettura. La Mark III mancò l’omologazione per correre nel 1965 e non poté essere schierata dal team Shelby, anche se poi nelle mani di piloti privati ottenne numerosi successi fino agli Anni ’70. Si calcola che siano state in tutto 328 le Mark 3 prodotte, 300 per il mercato americano mentre le altre – con motore ancora di 4,7 litri -, destinate all’Europa. La variante Mark III, per la cronaca, si rivelò un fiasco commerciale: in realtà Shelby dalla Ac Cobra ottenne più gloria che ricchezza.
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 09/01/2014 - 10:10

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Aston Martin DB4 GT Zagato

Le DB4 GT Zagato erano in sostanza delle DB4 GT alleggerite e migliorate dalla carrozzeria Zagato, grazie al lavoro di Ercole Spada. Inizialmente vennero pianificati 23 esemplari, ma la richiesta non fu così grande come si aspettava la Aston Martin, e quindi la produzione si fermò a 19 unità. Grazie alla sua rarità ed alla sua popolarità, la DB4 GT Zagato è una vettura molto costosa, ed alle aste supera spesso il prezzo di vendita di un milione di sterline. È stata presentata al pubblico nell’ottobre del 1960 al Salone dell'automobile di Londra.
Alla DB4 Zagato originale seguirono due serie consecutive realizzate qualche decennio dopo, anch’esse frutto della cooperazione della Aston Martin ed il carrozziere italiano. Sono conosciute come Sanction II (1991) e Sanction III (2000).
Sono presenti sul mercato anche repliche non autorizzate del modello, realizzate modificando delle DB4 GT.

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Sebbene le specifiche del motore furono cambiate durante la storia del modello, soprattutto per le competizioni, la maggior parte delle DB4 GT Zagato hanno mantenuto la configurazione iniziale. Originariamente il propulsore era un sei cilindri in linea in alluminio a benzina da 3.670 cm³ di cilindrata, con doppio albero a camme in testa e due candele per cilindro. Il rapporto di compressione del motore fu aumentato rispetto a quello della DB4 GT, più precisamente a 9,7:1. Il motore produceva 314 CV di potenza; questo permetteva alla vettura di accelerare da 0 a 97 km/h in 6,1 secondi e di raggiungere la velocità massima di 247 km/h[1]. Il modello montava una trasmissione manuale a quattro rapporti.
Per ottenere il modello, Ercole Spada trasformò la DB4 GT in una vettura più piccola, maggiormente aerodinamica e più leggera.

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Molti componenti in acciaio furono sostituiti con pezzi omologhi in alluminio, che erano più leggeri. Tutte le parti non necessarie, come i paraurti, scomparirono. Con l’installazione di componenti di Plexiglas e d’alluminio vennero eliminati dalla "DB4 GT" 45 kg.
Le competizioni Quattro esemplari del modello, con numero di telaio 0191, 0193, 0182 (anche conosciuto come 1 VEV) e 0183 (2 VEV), vennero costruiti secondo specifiche atte a rendere lo chassis più leggero, facendoli quindi diventare adatti alle competizioni. Queste specifiche prevedevano, tra l’altro, un tettuccio più basso, dei parafanghi posteriori allargati, una coda ridisegnata ed un frontale più piatto.La DB4 GT Zagato esordì nelle competizioni nel giorno di Pasqua del 1961 sul circuito di Goodwood. Guidata da Stirling Moss, la vettura finì al terzo posto dietro ad una Aston Martin DB4 GT e ad una Ferrari 250 GT, che vinse la corsa.
I due più famosi esemplari da competizione del modello, conosciuti con il numero delle loro targhe automobilistiche, cioè 1 VEV e 2 VEV, presero parte a gare, con l’ausilio della Aston Martin, sotto le insegne della Essex Racing Stable di John Ogier. Entrambi parteciparono alla 24 Ore di Le Mans del 1961, ma senza esito, dato che ambedue si ritirarono senza terminare al corsa. Nel luglio dello stesso anno, in una gara collaterale al Gran Premio di Gran Bretagna, la DB4 GT Zagato colse la sua prima vittoria, con la 2VEV che sottrasse il primo posto ad una Jaguar E Type all'ultimo giro. La 2 VEV subì un incidente molto grave a Spa-Francorchamps e fu ricostruita secondo delle specifiche atte a rendere il suo telaio ancora più leggero. Dopo un incidente stradale occorso nel 1993, l’esemplare tornò alle specifiche del 1962.

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La vettura con numero di telaio 0200 corse alla 24 Ore di Le Mans del 1962 guidata da Roy Salvadori e Jim Clark, ma un problema ad un pistone costrinse la vettura a ritirarsi dopo 9 ore e mezzo di gara.
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Nel 1991 quattro Aston Martin DB4 inutilizzate furono modificate con il permesso della Casa automobilistica britannica con l’intento di ottenere vetture aventi le caratteristiche della DB4 GT Zagato. I telai originali furono spediti a Milano alla carrozzeria Zagato, che li completò con le specifiche del modello originale, cioè con una piccola calandra ovale e una coda più piatta, ma senza aggiungere le pinne che erano caratteristiche invece della DB4 GT. Per familiarizzare le maestranze della Zagato con le tecniche costruttive degli anni sessanta, un esemplare originale della DB4 GT Zagato venne inviato assieme agli altri quattro da modificare, per essere smontato. Questi quattro esemplari sono conosciuti come Sanction II. Esteriormente erano identici all’originale Sanction I, ma vennero operate diverse modifiche per migliorare la guidabilità. Ognuno di questi esemplari fu venduto ad oltre un milione di sterline.Le differenze con le originali risiedevano, tra l’altro, nella cilindrata del motore, che fu incrementata da 3,7 L a 4,2 L, e nelle dimensioni delle ruote, che vennero rimpicciolite da 406,4 a 381 mm. Il primo dei quattro telai previsti per la DB4 GT Zagato Sanction II fu spedito a Zagato nel gennaio del 1989, mentre il quarto venne inviato nell’aprile dello stesso anno. Tutti e quattro gli esemplari vennero completati nel giugno del 1991. Fu assegnato loro un numero di telaio conforme a quelli attribuiti negli anni sessanta.
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 13/01/2014 - 03:39

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Maserati 151: all'assalto della categoria Prototipi

LA DECISIONE DELLA F.I.A. DI RISERVARE IL CAMPIONATO MONDIALE MARCHE 1962 SOLO ALLE GRAN TURISMO PROVOCÒ LA REAZIONE IMMEDIATA DI ALCUNI ORGANIZZATORI PREOCCUPATI, SOPRATTUTTO DAL LATO FINANZIARIO, DELLE LORO MANIFESTAZIONI. PER CALMARE GLI ANIMI VENNE ISTITUITA LA CATEGORIA DEI PROTOTIPI, CREATA NELL’ALVEO DELLA TRADIZIONALE MACCHINA SPORT. TALE NUOVA REGOLAMENTAZIONE ATTIRÒ L’INTERESSE DI MOLTE MARCHE E TRA QUESTE LA MASERATI.
Non appena terminata la sommaria messa a punto della TIPO 64, l’ingegner Giulio Alfieri, responsabile della progettazione delle vetture da competizione, puntò l’attenzione verso una nuova macchina, la 151, che doveva segnare il ritorno a concetti più classici. Poiché era stata imposta una cilindrata massima di 4 litri, si preferì utilizzare la soluzione del motore anteriore, più congeniale data l’enorme potenza disponibile.

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Il telaio era costituito da un traliccio di grossi tubi a sezione mista ovale e circolare con sospensioni anteriori indipendenti e ponte posteriore De Dion, soluzione già impiegata per la TIPO 64. Per quanto riguarda il motore, l’idea iniziale di utilizzare un V12, fu accantonata a favore di un V8 derivato dal motore della Maserati 450S con cilindrata ridotta a poco meno di 4000 cc. In considerazione della finalità della macchina, destinata soprattutto alla 24 ore di Le Mans, venne utilizzata una carrozzeria chiusa, somigliante alla favolosa 450 S di Zagato disegnata da Frank Costin che, naturalmente, teneva conto dei progressi aerodinamici: coda tronca, muso imponente (con una vistosa protuberanza sotto la quale trovavano posto i tromboncini d’aria dei carburatori).

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A causa di un leggero ma fatale ritardo la macchina mancò l’appuntamento delle prove preliminari della 24 Ore ma, poco tempo dopo, la 151 fu in pista a Modena con l’americano Walt Hansgen, che aveva già corso per la Cunningham. Nel 1962 questa stessa scuderia iscrisse due 151 (colore bianco con fascia centrale azzurra), mentre un terzo esemplare difendeva i colori della scuderia Maserati-France (colore rosso con banda tricolore francese).

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Rispettando quella che era ormai una prassi consolidata per le Maserati, le tre vetture alternarono un inizio sfolgorante a un rovinoso ritiro, dovuto rispettivamente a: rottura di un pistone, uscita di strada, anormale consumo dei pneumatici posteriori. Dopo questa esperienza, le macchine di Cunningham, svolsero attività minore negli USA anche con motore da 5,6 litri. Una di esse, con motore Ford 7 litri, venne distrutta a Daytona nel 1963.


MASERATI 151/2

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La Maserati-France, che puntava alle gare europee, rispedì la sua 151 a Modena, affinché questa venisse aggiornata. La 151/2 si caratterizzava, innanzitutto, per il nuovo motore 8 cilindri a V di quasi 5.000 cc. e il ponte posteriore De Dion subì alcune modifiche per eliminare la tendenza alla deformazione, problema che influiva negativamente anche sulle gomme. Il peso, infine, era sceso ulteriormente.

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Nonostante la vettura si avesse potenzialità molto maggiori la stagione 1963 non fu molto più positiva della precedente: ritiro a Le Mans (dopo un’eccellente avvio di gara) con la sola consolazione della vittoria di classe nel Trofeo d’Auvergne.


MASERATI 151/3

Alla Maserati non si persero le speranze e per il 1964 fu allestita una terza versione della 151, la 151/3, con radicali modifiche a tutta la meccanica e la carrozzeria. Il motore, posizionato in modo più razionale, consenti l’abbassamento del cofano motore, della trasmissione e, di conseguenza, di tutta la vettura.

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La coda, al contrario, era divenuta molto imponente e alta. Il vestito esterno, in particolare, opera di Piero Drogo, la faceva assomigliare (e fu causa del suo nomignolo a tema) un vero e proprio furgoncino da corsa.

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Una tale aerodinamica, applicata ad un’auto così veloce, creò non pochi problemi di guidabilità, scongiurati in tempo per la 24 Ore di Le Mans: per 5 ore la 151/3, riuscì a lottare ad armi pari con Ford e Ferrari prima di ritirarsi per rottura dell’impianto elettrico. Gli stessi problemi si ripresentarono alla 12 Ore di Sebring e alla Mille Chilometri di Parigi, confermando l’handicap insormontabile sofferto dalle Maserati affidate a scuderie private e presenti in numero troppo esiguo.


MASERATI 151/4, LA MALINCONICA FINE

Con una ostinazione degna di miglior causa, nel 1965 gli sforzi della Maserati portarono a una rinnovata 151, nota come Progetto 154 o 151/4. Il motore venne maggiorato ancora fino a ottenere 5.046 cc e fu accompagnato da ulteriori aggiornamenti per carrozzeria e telaio.

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Nuovamente affidata alla Maserati-France, la macchina venne iscritta alla 24 ore di Le Mans. Ma durante le prove l’unico esemplare a disposizione del team, affidato a Lloyd “Lucky” Casner, uscì di pista sul rettilineo Mulsanne a causa dell’asfalto bagnato. La vettura, incontrollabile, iniziò una terrificante carambola con numerosi ribaltamenti che la distrussero completamente. Nessuna speranza per il povero Casner.

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L’unico componente sopravvissuto, il motore 8 cilindri, fu due mesi dopo installato nella Maserati Tipo 65 ma, nel frattempo, Maserati aveva deciso di dare definitivamente addio alla produzione di vetture GT da corsa.



MOTORE
Motore Anteriore, longitudinale, 8 cilindri a V di 90°.
Cilindrata 3.943 cc (1963: 4.941.1; 1965: 5.046 cc)
Alimentazione 4 carburatori Weber 45 IDM (1963: iniezione meccanica Lucas)
Accensione Doppia con magnete e spinterogeno (nel 1963 con accensione singola)
Distribuzione Monoalbero a camme in testa, 2 valvole per cilindro
Potenza 360 Cv a 7.000 giri (1963: 430 Cv a 7.000 giri)
Coppia 490 Nm a 5.500 giri
TELAIO
Telaio Tubolare a traliccio
Sospensioni Doppi triangoli sovrapposti, molle elicoidali e ammortizzatori telescopici
Sterzo Vite e cremagliera
Freni Circuito idraulico con servofreno, 4 dischi
TRASMISSIONE
Trazione posteriore
Cambio 5 marce, in blocco con il differenziale
DIMENSIONI E PESI
Dimensioni carreggiata anteriore 1.250 mm, carreggiata posteriore 1.280 mm, passo 2.300 mm.
Peso 895 kg (1963:890 kg)
PRESTAZIONI
Velocità max. oltre 320 km/h
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luca lazzarato
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 16/01/2014 - 01:40

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Tyrrell P34: Passione a 6 Ruote

Sfrecciava sui rettilinei, saltava sui cordoli delle chicane, sgusciava per le stradine di Montecarlo,combatteva con i rivali per le prime posizioni; eppure aveva 6 ruote.
La Tyrrell P34, dove P sta per Project, venne presentata a Londra nel 1975, come vettura della casa costruttrice inglese per le successive stagioni. Le immagini parlano chiaro: 6 ruote, qualcosa di straordinario e mai pensato fino ad allora. Il progetto di questa vettura affonda le sue radici addirittura agli inizi degli anni sessanta. Il fatto che solamente nel 1975 si sia vista la realizzazione di qualcosa di rivoluzionario non ci deve sorprendere: bisogna pensare che da lì a poco sarebbero comparse le prime minigonne, quindi i team stavano cominciando a sperimentare, e come esperimento, le 6 ruote potevano essere il futuro della Formula 1.

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L’idea di Derek Gardner, il progettista, era molto semplice e doveva garantire dei notevoli vantaggi: utilizzare quattro ruote più piccole per diminuire la sezione frontale e quindi ridurre la resistenza aerodinamica all’avanzamento. Tutto supportato da un alettone anteriore a forma di martello. Inoltre le 4 ruote anteriori avrebbero fornito la stessa superficie di appoggio delle due classiche gomme delle altre vetture, anzi forse con qualche accorgimento la trazione sarebbe stata addirittura migliore. A spingere su questo progetto fu la Goodyear, che si impegnò a produrre delle coperture più piccole del normale (10 pollici invece che 13) e con una maggior resistenza alle sollecitazioni in termini di giri a pari velocità.

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La Koni, invece, si impegnò a progettare quattro ammortizzatori, uno per ogni ruota anteriore: dovevano essere più piccoli, ma avere la stessa qualità di quelli classici delle altre vetture, e non creare un peso eccessivo.
Tutto lo sviluppo venne largamente finanziato dalla Elf e falla First National Bity (CityBank). La vettura infatti presentava come sponsor principali proprio la Elf, la Goodyear e la Koni.

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La P34 montava un motore aspirato Ford Cosworth DFV a 8 cilindri a V di 90 gradi. Il telaio era una monoscocca aperta, e la larghezza della carreggiata variava da 1234 millimetri all’anteriore a 1473 al posteriore. Il cambio era meccanico Hewland FG400 a 5 rapporti. In totale il peso della vettura era di 587 kg, ed erogava una potenza di 480 CV a 10600 giri.

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I risultati del tracciato non furono quelli sperati. La velocità di punta alla fine non migliorò di molto, e l’unica cosa che sembrava essere migliorata era l’inserimento in curva. La Tyrrell P34, durante la sua vita soffrì gravemente di problemi di surriscaldamento delle gomme anteriori, soprattutto perché la Goodyear, che si era impegnata a progettare le nuove gomme, cambiò le sue priorità, e in continua battaglia con la Michelin lasciò il progetto a se stesso. Così, Maurice Phillipe, nuovo progettista della Tyrrell, dopo che Gardner gettò la spugna, fu costretto a fare fuoriuscire i 4 pneumatici anteriori dalla carreggiata, vanificando però lo scopo primario del progetto: diminuire la resistenza all’avanzamento.

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Come si può intuire che la carriera di questa vettura in Formula 1 fu tutt’altro che gloriosa. D’altro canto non si può nemmeno dire che fosse una vera e propria carriola. La Tyrrel P34 fu una vettura discreta, che riuscì ad essere competitiva pur essendo completamente diversa dalle altre. La “six wheeled” esordì nel campionato nel 1976, guidata per il team Tyrrell da Schekter e Depailler, e in Svezia ottenne la sua unica vittoria, con una strepitosa doppietta. Lo stesso anno, Schekter riuscì, grazie ai numerosi piazzamenti e ai 49 punti totali nel campionato piloti, a piazzarsi terzo. Nel 1977 Peterson sostituì Schekter alla guida della vettura, ma durante tutto l’anno non ottenne risultati degni di nota.

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La P34 in totale prese parte a 30 Gran Premi, ottenne una vittoria una pole e 3 giri veloci. Venne sostituita nel 1978, quando il progetto delle sei ruote venne definitivamente accantonato.
Si chiudevano i sipari dunque sulla rivoluzione del numero di ruote, e si aprivano intanto quelli sulle minigonne e sull’effetto suolo; intanto la Tyrrell P34 diventò una leggenda per tutti gli appassionati di questo sport.

Articolo di Matteo Bramati.

Materiale fotografico :

f1grandprix.motorionline

grandprixhistory
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 21/01/2014 - 05:07

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Una piccola British....Lotus Elite

La Lotus Elite è un'autovettura sportiva prodotta dalla casa automobilistica inglese Lotus Cars a partire dal 1957 al 1982. Le due distinte generazioni hanno in comune tra loro, oltre la denominazione, il materiale con cui è realizzata la carrozzeria: la vetroresina.La prima generazione, siglata internamente Type 14, venne prodotta tra il 1957 ed il 1963 mentre la seconda, codificata come Type 75 venne prodotta tra il 1974 e il 1982.La Type 14, che debuttò al Salone dell'Automobile di Londra del 1957 era una piccola coupé 2 posti caratterizzata dall'innovativa soluzione della scocca portante interamente in fibra di vetro, con inserito all'interno una struttura in acciaio.Grazie a questa soluzione la piccola sportiva Lotus aveva un peso contenuto in 504 kg.
Spinta da un piccolo 4 cilindri in linea monoalbero in testa tutto in alluminio prodotto dalla Coventry Climax di 1.216 cm³ da 72 cavalli, la Elite raggiungeva, una velocità di punta di 180 km/h.

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La trazione posteriore, il cambio manuale a 4 marce (d'origine MG), le sospensioni a 4 ruote indipendenti e i freni a disco su tutte le ruote, completavano il quadro tecnico.Le scocca portante in vetroresina diede, inizialmente, parecchi problemi, tanto che la costruzione venne successivamente affidata agli specialisti della Bristol Aeroplane Company. Anche l'impianto elettrico Lucas Automotive diede qualche grattacapo ai proprietari delle prime Elite. Con humor tipicamente inglese la Lucas, i cui impianti erano montati sulla maggior parte delle automobili britanniche, venne soprannominata prince of darkness (principe dell'oscurità).
Nel 1959, risolti i problemi iniziali, la casa inglese decise d'impiegare la sua piccola sportiva nelle competizioni e approntò un kit di preparazione ufficiale, che includeva un potenziamento a 95 cavalli del motore e un nuovo cambio manuale a 5 rapporti prodotto dalla ZF. La Elite ottenne numerose vittorie nella propria classe sia alla 24 Ore di Le Mans che al Nürburgring.

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25 HLe Mans 1959
Nel 1960, una serie di aggiornamenti (volti, soprattutto, a migliorare l'affidabilità e la qualità costruttiva) uniti a qualche ritocco estetico, diedero vita alla Elite S2 .

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Le Mans 1961

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Le Mans 1963

La produzione cessò nel 1963 dopo 1.030 esemplari prodotti (280 della prima serie e 750 delle S2).
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Messaggioda luca lazzarato » 23/01/2014 - 08:53

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Mini Cooper S

La prima generazione della Mini è stata prodotta dal 1959 al 2000, sotto l'egida iniziale della British Motor Corporation; il modello è stato anche realizzato e venduto su licenza nel mondo da varie altre case automobilistiche.La Mini Cooper, opportunamente elaborata, s'aggiudicò la vittoria di classe del rally di Montecarlo del 1963, con alla sua guida il pilota Timo Mäkinen. Alla fine dello stesso anno le Wolseley Hornet e le Riley Elf adottarono un motore di cilindrata maggiorata a 998 cm³ e potenza di 38 CV.

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Sul finire del 1964 tutte le Mini berlina (incluse le Cooper, le Cooper S e le varianti Wolseley e Riley) adottarono le sospensioni Hydrolastic, già montate dal 1962 sulle Austin e Morris 1100. Le versioni station wagon mantennero, invece, le sospensioni d'origine. Con l'occasione la Cooper venne affiancata dalla Cooper S, con motore di 1071 cm³ da 70 CV. La Cooper S (1071 cm³) con potenza portata a circa 85Cv s'aggiudicò il rally di Montecarlo edizione del '64 con alla guida il pilota Patrick Barron "Paddy" Hopkirk.

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Nel corso del 1964 la gamma Cooper e Cooper S cambiò ancora, con l'introduzione di una nuova versione per la Cooper "normale" con motore portato a 998 cm³ (55CV) e la produzione di due nuovi modelli Cooper S 1.0 (970 cm³, 65 CV) e la Cooper S 1.275 (1275 cm³, 76 CV) che si andarono ad affiancare alla oramai famosa versione da 1071 cm³ (70 CV). La Cooper S 1.275 s'aggiudicò inoltre nuovamente il rally di Montecarlo nel 1965, 1966 (fu tuttavia squalificata per fanali irregolari) e nel 1967, nonché il rally dell'Acropoli del 1967.La Mini Cooper S 1275 del pilota Rauno Aaltonen e del co-driver Tony ambrose vinse il Campionato Europeo Rally del 1965 (Il campionato mondiale comparve solo negli anni '70)
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Messaggioda luca lazzarato » 28/01/2014 - 09:40

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De Tomaso Vallelunga

La Vallelunga è stata un'autovettura prodotta dalla De Tomaso dal 1964 al 1968. Il nome del modello derivava dall’autodromo di Vallelunga, dove la De Tomaso spesso collaudava le proprie autovetture da corsa fino ad allora realizzate.La Vallelunga apparteneva alla categoria delle vetture sport e venne presentata come concept car al salone dell'automobile di Torino del 1964, dopo che un primo esemplare in versione spyder (rimasto unico) era stato realizzato nel 1962 e presentato nell'edizione del 1963. Inizialmente la De Tomaso era intenzionata a vendere il progetto della Vallelunga a qualche altro gruppo automobilistico, in primis alla Ford. Nessuna casa automobilistica però era interessata all’acquisto, quindi la De Tomaso decise di realizzare la vettura a proprie spese. La produzione del modello fu poi assegnata alla Ghia. Il design fu invece opera della carrozzeria Fissore.
In totale, di Vallelunga, ne furono realizzati 53 esemplari (59 se si considerano anche i prototipi e il già citato esemplare one-off in versione spyder del 1963). La Vallelunga fu prodotta fino al 1968 e venne sostituita dalla ben più prestazionale De Tomaso Mangusta. Quest’ultima, utilizzava un telaio che derivava da quello della Vallelunga, sebbene riprogettato per far fronte a una potenza più che doppia. Le esperienze telaistiche maturate con la Vallelunga furono poi travasate anche nella successiva Sport 1000 Fantuzzi Spyder da competizione.

La tecnica

Il motore 1.6 montato in posizione centrale da 104 CV è derivato da quello della Ford Cortina e permette alla vettura di raggiungere una velocità massima di 180 km/h. Negli anni Sessanta era inoltre previsto un kit di potenziamento che consentiva di salire fino a quota 135 CV. Il cambio, montato a sbalzo posteriormente oltre il differenziale, è invece lo stesso della Volkswagen Maggiolino.
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 01/02/2014 - 08:15

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Lancia D24 Spider Sport - 1953

La Lancia D24 è un'automobile da competizione realizzata dalla casa torinese Lancia nel biennio 1953/54.Nei primi mesi del 1953, quando in Casa Lancia si decide di dar vita ad una nuova vettura da competizione con carrozzeria “aperta” per correre nella categoria Sport e sostituire la berlinetta D20 dimostratasi non sufficientemente competitiva nei confronti delle migliori macchine avversarie, si pensa ad un prodotto piuttosto innovativo, quale in effetti sarà la D24.I tempi stretti impongono tuttavia l'immediata realizzazione di una vettura-ponte - la D23, ma il progetto per la D24 naturalmente non si arresta, anzi procede tanto speditamente che la nuova creatura viene fatta debuttare alla fine di agosto, in occasione della prima edizione della “1000 km del Nürburgring”.

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Tre Lancia sullo schieramento: la vettura con il numero 7 è la D23 di Castellotti, mentre la numero 5 e la numero 6 sono le nuovissime D24 di Juan Manuel Fangio e di Piero Taruffi

La D24, universalmente giudicata come una tra le più belle vetture da corsa del periodo, si presenta con una livrea di tutto rispetto, una linea slanciata ed armoniosa che migliora l'estetica già apprezzabile della D23 e che naturalmente è sempre dovuta alla matita di Pininfarina.La D24, che raggiungerà fama internazionale dopo la vittoria alla Carrera Panamericana nel novembre 1953 (che le meriterà la denominazione di Lancia D24 Carrera).

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Il posto di guida di una D24 partecipante alla Carrera Messicana 1953

calcherà la scena fino al termine della stagione 1954 ottenendo parecchie affermazioni di prestigio (Mille Miglia, Targa Florio, Giro di Sicilia) e verrà anche equipaggiata – nelle ultime uscite – dal motore da 3,7 litri costruito per la macchina destinata a sostituire la D24, ovvero la D25.

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Come per tutte le macchine da corsa che si rispettino, anche la D24 subisce nel corso della sua esistenza parecchie modifiche destinate a migliorare ora le prestazioni ora l'affidabilità: si tratta peraltro di affinamenti di non grande rilevanza.

L'attività sportiva
5.1 Germania, 1953, 30 agosto, 1000 km del Nurburgring
5.2 Italia, 1953, 6 settembre, 1º Gran Premio Supercortemaggiore
5.3 Italia, 1953, 27 settembre, VI Bologna-Passo della Raticosa
5.4 Messico, 1953, 19/23 novembre, IV Carrera Panamericana
5.5 Stati Uniti d'America, 1954, 7 marzo, III 12 Ore di Sebring
5.6 Italia, 1954, 4 aprile, XIV Giro di Sicilia
5.7 Italia, 1954, 11 aprile, VI Coppa della Toscana
5.8 Italia, 1954, 1-2 maggio, XXI Mille Miglia
5.9 Italia, 1954, 30 maggio, XXVIII Targa Florio
5.10 Portogallo, 1954, 27 giugno, Gran Premio di Oporto
5.11 Italia, 1954, 4 luglio, XIV Bolzano-Passo della Mendola
5.12 Italia, 1954, 25 luglio, XVI Aosta-Passo del Gran San Bernardo
5.13 Irlanda del Nord, 1954, 11 settembre, XXI RAC Tourist Trophy
5.14 Italia, 1954, 19 settembre, IX Catania-Etna
5.15 Italia, 1954, 17 ottobre, XIV Treponti-Castelnuovo
5.16 Italia, 1954, 17 ottobre, V Coppa D'Oro di Sicilia
5.17 Italia, 1954, 24 ottobre, II Coppa Firenze-Siena


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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 10/02/2014 - 00:46

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Fiat 806 12 cilindri: la prima vera monoposto FIAT, l'auto che sancì il ritiro dalle corse Gran Prix

La fine della prima Guerra Mondiale aveva lasciato l’Europa distrutta e sgomenta. Come reazione a quell’immane tragedia si diffuse una nuova forza vitale nella popolazione, un sentimento di rinascita e di slancio verso la vita, verso la ripresa e lo sviluppo di tutte le attività.
Questo atteggiamento positivo pervase, naturalmente, anche il settore automobilistico. Nel 1919 ripresero le competizioni: nacquero il Gran Premio d’Italia, il GP di Francia, la 500 Miglia di Indianapolis (1921), la 24 Ore di Le Mans (1923) oltre a riprendere le competizioni già nate all’inizio del Secolo (come la Aosta Gran San Bernardo).
In Italia i marchi più attivi del periodo erano Lancia, Diatto, Ansaldo, Fiat, OM, Scat, Alfa Romeo e molte altre. In questo clima di grande fermento la creatività ingegneristica poteva esprimersi al meglio: nel 1923 era nata l’Alfa Romeo RL con un nuovo motore 6 cilindri in linea di 3 litri con valvole in testa, la Lancia aveva fatto debuttare la Lambda con carrozzeria portante e nuovo motore a V stretta, l’Isotta Fraschini aveva creato il grande motore tipo 8 da 6 litri (poi cresciuto a oltre 7 litri). E poi ancora le Bianchi con valvole in testa e le Chiribiri con doppio albero.
Nondimeno bisognava considerare la concorrenza proveniente dall’estero: le fortissime Bugatti prodotte dall’emigrante Ettore, le Delage, le Bentley, le Mercedes, le Talbot e le Delahaye.

LA FIAT
La casa fondata da un gruppo di nobili, industriali e grandi possidenti nel 1899, dagli inizi del secolo fino alla fine degli Anni 20 giocò il ruolo di uno dei marchi più forti nelle gare da Gran Premio (l’odierna F1). Ma anche nella categoria turismo l’azienda, con la 509, forniva un prodotto molto competitivo nella categoria “Turismo”.
Il talento della casa torinese non si misurava solo in termini di validi piloti ma anche di talentuosi progettisti. Ne fu un caso il grande Vittorio Jano, strappato alla FIAT dall’Alfa Romeo e artefice delle più straordinarie Alfa da corsa degli Anni 20 e 30. Uno dei migliori contributi di FIAT alla tecnica di quegli anni fu, ad esempio, il ritorno alla distribuzione con 2 valvole per cilindro per creare motori affidabili. Era, infatti, l’epoca dell’introduzione della sovralimentazione e, d’altro canto, la tecnica aveva già scoperto la distribuzione bialbero con 4 valvole per cilindro. Questa filosofia introdotta dalla FIAT si rivelò determinante visto il gran numero di concorrenti che, letteralmente, copiarono questa soluzione.

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TROPPI LUTTI, TROPPE DIMISSIONI
Il Senatore Gianni Agnelli, che dalla seconda metà degli Anni 10 aveva acquisito quasi integralmente la proprietà della FIAT, aveva raccolto grandi soddisfazioni in gara: vittoria al Gran Premio di Monza del ’22 (quattro FIAT 803 ai primi 4 posti), la Mefistofele da record del 1923, la vittoria al GP d’Italia a Monza a bordo di una Fiat 805 grazie a Carlo Salamano, la vittoria di Felice Nazzaro al GP di Francia del ’22 con la Fiat 804.

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Ma, nello stesso tempo, si erano prodotti numerosi eventi negativi negativi: la perdita di numerosi piloti (Evasio Lampiano, Biagio Nazzaro, Enrico Giaccone, Ugo Sivocci e Onesimo Marchisi) e le dimissioni di validi tecnici (Vincenzo Bertarione alla Sunbeam, Walter Becchia alla Talbot, Luigi Bazzi e, poco dopo,lo stesso Jano all’Alfa Romeo); per quest’ultimi, in particolare, la FIAT aveva investito molte risorse finanziarie.
Nella metà degli Anni 20 Agnelli cominciò a maturare l’idea di abbandonare le competizioni. Il colpo di grazia, si dice, avvenne al Gran Premio di Francia del 1924, dove le FIAT 805 (ben 4 esemplari affidati a Nazzaro, Marchisio, Pietro Bordino e Cesare Pastore) furono battute dalle Alfa Romeo P2 progettate da Vittorio Jano.

LA FIAT 806
Deluso, frustrato e “tradito”, Gianni Agnelli decise il ritiro delle sue auto dalle competizioni. Fu una mossa avventata perché non fece altro che lasciare campo aperto alle Alfa Romeo. Lo sviluppo di una nuova vettura, erede della 805 2 litri, affidato a Tranquillo Zerbi e Alberto Massimino, già iniziato, fu dunque bloccato. Ma la lungimiranza del Direttore Generale Guido Fornaca, riuscì ad avere la meglio sull’orgoglio del Senatore e i due progettisti ripresero lo studio.
La nuova vettura da corsa per i gran premi sarebbe stata schierata nella stagione di corse 1927. Si caratterizzò, sostanzialmente, per il debutto di due interessanti novità tecniche:
- Prima vettura monoposto FIAT (in quell’epoca le auto erano sempre prodotte come biposto, salvo poi essere utilizzate nei gran premi come monoposto
- Debutto di un nuovo motore che rispettasse la nuova regolamentazione: 1.500 cc con sovralimentazione
- Costruzione di un nuovo telaio in cui il motore non era appoggiato sui due longheroni principali longitudinali ma posizionato tra questi due, soluzione con consentiva un notevole abbassamento del baricentro.
Il motore, il tipo 406, era un innovativo 12 cilindri con compressore Roots, ottenuto accoppiando a “U” due motori 6 cilindri in linea per un totale di 1.500 cc. Aveva la distribuzione a due alberi a camme con tre valvole per cilindro, FIAT dichiarava una potenza massima di 187 cavalli ed era accoppiato a un cambio a 4 marce. La struttura meccanica comprendeva anche sospensioni posteriori ad assale rigido e freni a tamburo.

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PRIMA VITTORIA, RITIRO DEFINITIVO
A causa di una messa a punto incompleta (vettura molto veloce ma poco affidabile) la FIAT decise la partecipazione al Gran Premio di Milano (50 chilometri) in luogo del più lungo e difficile Gran Premio d’Europa (500 km). Entrambi si svolsero il 4 settembre 1927 sul circuito di Monza in condizioni atmosferiche e di morale della squadra tutt’altro che rincuoranti.
Ma nonostante il valore delle forze in campo (tra cui le fortissime Alfa Romeo P2 e le Bugatti 35) la FIAT 806 di Pietro Bordino vinse tutte le fasi eliminatorie e assicurandosi la partenza in prima posizione nell’ultima. Campari (Alfa P2) e Maggi (Bugatti 35), furono sonoramente sconfitti.

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La prova di forza della Fiat 806 aveva sollevato il morale in modo grandioso e inaspettato in vista della stagione di corse del 1928. Ma Gianni Agnelli fu irremovibile: annunciò un nuovo ritiro e lo rese esecutivo senza nessuna possibilità di cambiare programma. L’unica Fiat 806 esistente e i 4 motori 12 cilindri costruiti furono smantellati: alcune parti recuperate, altre definitivamente distrutte nella pressa.
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Messaggioda luca lazzarato » 23/02/2014 - 01:29

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1960 Alfa Romeo Giulietta SZ

L'Alfa Romeo Giulietta SZ è un'autovettura sportiva prodotta dalla casa automobilistica milanese Alfa Romeo dal 1960 al 1963. Facente parte delle vetture derivate dalla Giulietta come la Giulietta Sprint, la sua sigla SZ deriva da Sport Zagato.La Giulietta si distingueva per le prestazioni, all'epoca eccezionali in rapporto alla cilindrata di 1300 cm³, e in più era agile, snella, piena di personalità, rappresentante ideale di un perfetto cocktail di sportività ed eleganza. Infatti, la Casa automobilistica milanese contava sulla collaborazione di due stilisti indiscussi come Nuccio Bertone per la Giulietta Sprint e Pinin Farina dapprima con la Giulietta Spider, in seguito con la Spider Veloce.

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La famiglia delle Giulietta era inizialmente composta dalle versioni berlina, dalla TI (Turismo Internazionale), dalla Sprint, dalla Sprint Veloce, dalla Spider e dalla Spider Veloce.La genesi di questo modello è legata a un incidente di corsa. Alla Mille Miglia del 1956 i fratelli Dore e Carlo Leto di Priolo, al via con una delle cinque Sprint Veloce ufficiali, nei pressi di Radicofani perdono il controllo dell'auto e finiscono nel greto del fiume Ombrone.

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I piloti ne escono più o meno incolumi, ma la vettura è semidistrutta. Nonostante il preventivo di riparazione fosse senza speranza, i gentlemen drivers non si perdono d'animo e si rivolgono al carrozziere Elio Zagato. In quattro mesi di lavoro l'auto viene ricostruita con un nuovo telaio a struttura tubolare e una carrozzeria in lega di alluminio, che comportano un risparmio di peso di circa 135 kg, consentendo inoltre una linea molto più affusolata e aerodinamica.
Il debutto avvenne a Monza nel settembre 1956, vincendo la Coppa Intereuropa con la denominazione di "Giulietta Sprint Veloce Zagato".Il primo esemplare della versione commerciale definitiva venne completato il 19 dicembre 1959: aveva i fari carenati, per migliorare la penetrazione aerodinamica, e i pulsanti di apertura delle porte dotati di semplicissime impugnature ad aletta.

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Il modello debutta ufficialmente in pubblico il 3 marzo 1960 al Salone dell'automobile di Ginevra con alcune differenze rispetto al primo esemplare, come i fari anteriori senza calotte trasparenti, gli archi passaruota anteriori più arrotondati e le porte con vere e proprie maniglie, anche se piccole.La Giulietta SZ "serie 101.26" venne prodotta in un numero molto limitato di esemplari (210 in tutto) tra il 1959 ed il 1961. Esistono due versioni della Giulietta SZ denominate dagli appassionati "coda tonda" per la parte posteriore tondeggiante e "coda tronca" per la parte posteriore che termina in modo più spigoloso, quasi "troncato" per seguire dettami aerodinamici.


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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 27/03/2014 - 01:50

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Fiat Abarth 695 SS

La Fiat-Abarth 500 è una vettura prodotta dalla Abarth sulla meccanica della Fiat Nuova 500, in varie cilindrate e allestimenti dal 1957 al 1971.Nel febbraio 1964 venne invece presentata la 595 SS con una velocità massima portata a 130 km/h. Nello stesso anno vennero presentate anche la 695 e 695 SS, entrambe con una cilindrata totale di 689 cm³ e con una velocità massima rispettivamente di 140 km/h e 150 km/h. Nel settembre 1965 fu introdotta la 695 SS Assetto Corsa, sostituita nel 1969 dalla 695 SS Competizione

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A titolo dimostrativo circa la robustezza del motore, nonostante il notevole incremento di potenza, nei mesi di settembre e ottobre del 1958, furono organizzate alcune sessioni di prova, sull'autodromo di Monza. Una Fiat-Abarth 500, dotata di carrozzeria aerodinamica appositamente studiata dalla Pininfarina, conquistò 28 primati di velocità, su varie distanze, condotta da piloti come Giancarlo Baghetti, Mario Poltronieri e Corrado Manfredini. In una delle prove, la macchina girò senza sosta per 7 giorni, alla velocità media di 111 km/h.
Nel 1963 fu presentata la "595", prodotta fino alla fine del 1971 in due serie: la prima (dal '63 al '65) aveva la carrozzeria della "500 D"; la seconda (dal '65 al '71) aveva la carrozzeria della "500 F". L'Abarth riceveva dalla Fiat le auto incomplete e montava su di esse i pezzi speciali. Tali parti erano composte da cruscotto (con strumentazione specifica provvista di tachimetro, contachilometri, contagiri, indicatore livello benzina e indicatore temperatura olio), volante a 3 razze, carburatore doppio corpo Solex C 28 PBJ montato su apposito alloggiamento in alluminio, coppa olio in alluminio, sistema di aspirazione e scarico dei gas specifici, ecc.

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Da menzionare anche il fatto che su queste versioni il portellone posteriore, che chiudeva il motore posto nel retro della vettura, veniva rialzato con dei fermi per aumentare il raffreddamento del motore stesso e quindi la sua efficienza. Una volta assemblate, le "595 Abarth" erano vendute attraverso i propri concessionari.

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Nel febbraio 1964 venne invece presentata la 595 SS con una velocità massima portata a 130 km/h. Nello stesso anno vennero presentate anche la 695 e 695 SS, entrambe con una cilindrata totale di 689 cm³ e con una velocità massima rispettivamente di 140 km/h e 150 km/h. Nel settembre 1965 fu introdotta la 695 SS Assetto Corsa, sostituita nel 1969 dalla 695 SS Competizione.
Furono inoltre commercializzate le popolari "cassette di trasformazione Abarth", che consentivano di modificare la Fiat Nuova 500 rendendola più aggressiva e sportiva, senza limitarne la circolazione alla sola "pista".

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SCHEDA TECNICA
Motore
· 2 cilindri in linea paralleli
· posizione : posteriore
· alesaggio x corsa : 76 x 76 mm
· cilindrata : 689 cc
· potenza : 38 CV a 5350 giri/min
· rapporto di compressione : 9,8 : 1
· distribuzione : aste e bilancieri
· alimentazione : carburatore Solex
· raffreddamento : ad aria
Trazione
· posteriore
Cambio
· manuale a quattro rapporti + RM
Sospensioni
· anteriori : indipendenti , bracci triangolari superiori, balestra trasversale
· posteriori : indipendenti,
bracci triangolari, molle elicoidali
Frizione
· monodisco a secco

Freni
· idraulici a tamburo sulle 4 ruote
Pneumatici
· 125x12"/135x12%u201D
Telaio
· Monoscocca portante
Dimensioni
· Lunghezza: 2970 mm
· Larghezza: 1320 mm
· Altezza: 1320 mm
Peso
· 485 kg
Velocità max.
· 140 km/h

Fonte informazioni :Archivio Storico Reparto corse Abarth - Torino
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 02/04/2014 - 09:08

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1971 Chevrolet Corvette C 3

La terza generazione della Corvette è conosciuta anche come Mako Shark e venne anch'essa disegnata da Larry Shinoda. La C3 iniziò nel 1968 per concludersi nel 1982. Lo stile di questa vettura si dimostrò molto innovativo.Nel 1969 la General Motors portò la cilindrata del suo motore Small-block a 5,7 L (350n³) e fu introdotto un nuovo propulsore L46 350 V8 dalla potenza di 350 cv.
L'anno successivo il motore da 7 L fu portato a 7,4 L (454n³). Sempre nel 1970 il motore LT-1 toccava i 370 hp (276 kW) mentre nel 1971 il 7,4 L arrivò a 425 hp (317 kW).Con questi motori si toccarono gli apici massimi della potenza. Poi i motori divennero sempre meno potenti. Questo era dovuto sia all'adozione da parte della Chevrolet della normativa SAE, come standard di misurazione di questo valore, come all'introduzione della benzina senza piombo, dei catalizzatori e delle norme sul controllo delle emissioni. Nel 1975 il motore L82 erogava 165 hp (123 kW) mentre il motore L82, disponibile come optional, ne produceva 205 (153 kW). Nel 1982 il motore L83 che equipaggiava le C3 sviluppava 200 hp (149 kW). Questi valori rimasero sostanzialmente stabili per un lungo periodo.



Esteticamente la C3 rappresentò l'ultima Corvette dotata di paraurti cromati. Nel 1973 venne sostituito il paraurti anteriore cromato con un fascione in materiale plastico che poteva assorbire urti fino a cinque miglia orarie (8 km/h). Per questa sua caratteristica veniva indicato come 5 mph. Venne mantenuto invece il paraurti posteriore in metallo cromato, che però venne rimosso l'anno successivo rendendo così il modello del 1973 l'ultimo dotato di questo tipo di paraurti.
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Re: Le leggende da corsa del passato

Messaggioda luca lazzarato » 16/07/2014 - 17:26



Ferrari 330 P4 – Legendary Sportscar

La sua meccanica di alta classe condensa la migliore tradizione del mito di Maranello. E’ una vettura robusta e prestante, ma pure scultorea e bilanciata. Appartiene alla stirpe delle Ferrari più affascinanti di tutti i tempi. Una superba opera d’arte, con una suggestiva armonia di forme. In tanti credono che sia la più bella Sport del firmamento automobilistico.
La linea della sua carrozzeria lascia estasiati, immersi nell’incanto delle magiche e sinuose curve che, nel loro morbido dipanarsi, inebriano i sensi degli appassionati. La 330 P4 è un’emozione, una confluenza di velocità, di tecniche, di stile e di melodie, che si fondono in un’eccitante miscela, la cui composizione effonde le rime di una poesia celestiale.

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l muso, basso e affilato, trasmette la grinta dei suoi cromosomi, mentre la coda, suadente e compatta, esprime il romanticismo della sua forza dinamica. Anche il cofano, incernierato sul tetto, estende i suoi muscoli con grazia divina. E’ un capolavoro assoluto, perfetto e proporzionato nei sensuali volumi, frutto di un lessico di aulica specie. Il sublime equilibrio che ne definisce l’azione consente a questa “rossa” di aggiudicarsi il combattuto Mondiale Marche del 1967, contro le agguerrite rivali a stelle e strisce.
Esteticamente simile alla P3 (dalla quale deriva), la 330 P4 vanta un telaio irrobustito e affinato. Si tratta di una struttura in tubi di acciaio, con elementi scatolati, che ospita il leggero involucro in allumino, forgiato da Piero Drogo. Valido l’assetto, garantito dalle sospensioni a quadrilateri deformabili; ottima l’integrità strutturale, che regala una marcia solida ed energica. La nuova creatura viene prodotta in quattro esemplari, uno dei quali in configurazione spider. Pesa 792 kg e gode della spinta di un affidabile 12 cilindri di 4 litri, curato da Franco Rocchi, che sviluppa 450 Cv a 8000 giri al minuto.

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Questo propulsore, con funzione portante, segna l’esordio delle tre valvole per cilindro e di altri significativi affinamenti, nati dall’esperienza acquisita in Formula 1. Grazie al know-how tecnico l’iniezione indiretta Lucas ottiene la giusta valorizzazione. I condotti di aspirazione vengono posti al centro della V che separa le due bancate. Nuova la trasmissione, interamente costruita dalla factory emiliana. Il cambio, con frizione a dischi multipli, sfoggia ridotte dimensioni di ingombro e maggiore resistenza agli alti regimi di rotazione.
Gli interventi colgono nel segno e l’auto risulta molto più incisiva della progenitrice (che viene convertita allo stile dell’erede, con la sigla 412 P). Grazie ad essa si apre un nuovo e intenso capitolo nella lotta col gigante Ford, dopo che la brusca interruzione delle trattative per la vendita della Casa di Maranello, ormai in dirittura d’arrivo, aveva spinto il costruttore americano a lanciare il guanto si sfida, con l’evidente obiettivo di umiliare i bolidi italiani nel loro terreno di elezione: le corse!
L’azienda di Detroit vince nel 1966, ma è costretta ad abdicare alle “rosse” nella stagione successiva, grazie proprio alla P4, che nasce dal desiderio del Drake di rifarsi dello smacco, digerito amaramente. Il Commendatore esige il successo e convoca i suoi, per caricarli all’impresa. La chiamata alle armi funziona e i risultati non tardano ad arrivare.

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Alla 24 Ore di Daytona del ‘67 è tripletta: vincono Bandini e Amon, seguiti da Parkes e Scarfiotti, entrambi sulla freccia scarlatta. Le due P4 e una 412 P, giunta terza, tagliano in formazione il traguardo. La scelta dell’allineamento sulla linea finale, voluta da Franco Lini, si rivela azzeccata, colpendo l’immaginario collettivo.

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Le foto delle “rosse” in parata conquistano le prime pagine di tutti i giornali, entrando nell’enciclopedia storica dell’automobilismo. Viene naturale leggere nelle modalità di arrivo un’efficace risposta alla vittoriosa sfilata di 3 Ford MKII alla maratona della Sarthe dell’anno precedente. Il primo conto di Ferrari è chiuso.

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Nel prosieguo di stagione la 330 P4 ottiene la doppietta anche alla 1000 km di Monza, con Bandini e Amon davanti a Parkes e Scarfiotti. Alla Targa Florio, dinanzi al suo pubblico, Vaccarella è costretto al ritiro a causa di un lieve incidente a ridosso di Collesano. Senza questo imprevisto la classifica della gara madonita sarebbe stata diversa. Il “Preside Volante”, grande protagonista delle fasi iniziali della prova di casa, appare visibilmente contrariato. Al via della successiva 24 Ore di Le Mans ci sono otto Ferrari (metà delle quali P4) contro una sfilza di Ford. E’ subito lotta serrata, nonostante i 3 litri di handicap pagati dalle “rosse”. L’andatura è furibonda.

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Vince la vettura statunitense, che sul traguardo precede i due bolidi del “cavallino rampante” condotti da Parkes-Scarfiotti e Mairesse-“Beurlys”. Per il Commendatore è grande delusione. L’alloro iridato è comunque destinato a rimanere in Europa. Alla 500 Miglia di Brands Hatch il ritmo brillante, tenuto nelle fasi conclusive, consente alla Sport emiliana di Chris Amon e Jackie Stewart di conseguire il secondo posto, alle spalle della enorme e folkloristica Chaparral. Molto più indietro le Porsche, che avevano vanamente sperato in una gara bagnata.

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Per la tredicesima volta il Trofeo Costruttori finisce nelle mani della Casa di Maranello. Il conto col gigante Ford è definitivamente chiuso! Il merito va ad un’auto leggendaria, entrata nel cuore degli appassionati, più di qualsiasi altra creatura da corsa. Le nuove restrizioni regolamentari, che fissano per i prototipi una cilindrata massima di tre litri, impediranno la partecipazione della P4 al Campionato del 1968 che, per protesta, Ferrari non disputerà.
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